I tre dibattiti Clinton-Trump

Cosa possiamo imparare dal primo dibattito tra Hillary Clinton e Donald Trump

La forma oltre il contenuto

È stato molto interessante il primo dibattito tra i due candidati alla Casa Bianca. Non solo per i contenuti, che grosso modo a quanto pare dai sondaggi, hanno dato la vittoria alla Clinton, ma anche per gli aspetti legati alla forma. Forma e contenuto sono due elementi che costituiscono la nostra comunicazione e sono indissolubilmente collegati. In genere prestiamo molta più importanza e attenzione ai contenuti; ma è la forma che dischiude possibilità di comprensione degli stati d’animo, delle emozioni e anche dei pensieri non espressi. La comunicazione non verbale, quella del corpo, la gestualità e la mimica facciale forniscono chiavi di lettura sempre molto ricche per comprendere anche la parte contenutistica e soprattutto ci danno una visione d’insieme della comunicazione e anche del livello di relazione instaurato tra comunicanti.

La comunicazione non verbale

Passiamo a una breve analisi del non verbale. L’ingresso nella sala caratterizzerà tutto il resto del dibattito. Trump entra deciso con uno sguardo contratto e serio, e soprattutto ci mostra quanto sia teso. Clinton entra sorridendo, un sorriso che riuscirà a mantenere praticamente per tutto l’incontro (e qui non può non avere imparato dal marito Bill, un vero esperto in sorrisi), a differenza di Trump sempre molto più contratto nel volto. Il sorriso è un indice di apertura e di disponibilità, che permette di entrare in relazione con l’altro più agevolmente. Quelli di Trump sono standardizzati e mostrano un che di falso, cui si aggiunge la testa piegata verso destra, che amplifica la sua contrazione e la tensione, nonché l’attesa per quanto verrà. La bocca è a sua volta tesa e dritta con le labbra serrate, sintomo di non accettazione delle idee altrui e di assoluta volontà di negazione. Nei momenti peggiori gli angoli della bocca si piegano verso il basso denotando perplessità. Clinton mantiene un sorriso educato che a volte diventa quasi una risata. Anche nel suo caso in alcuni momenti si tratta di un sorriso di convenienza, ma in genere ha il vantaggio di seguire gli andamenti del discorso o dell’ascolto mostrando una connessione precisa con gli argomenti trattati. 

La gestualità è sicuramente più aggressiva e difensiva da parte di Trump. Intanto si sorregge stando ben ancorato con entrambe le mani al leggio. Poi ha due gesti ripetuti: l’indice destro che minaccia e indica il punto di vista non modificabile, e l’unione di indice e pollice, una precisazione pedante e circostanziata. Inoltre usa molto il movimento della mano destra dall’alto in basso, ancora una volta una modalità piuttosto categorica e aggressiva. D’altro canto usa molto poco la mano sinistra, per alcuni la mano del cuore, delle emozioni.

Da parte di Clinton, la gestualità è più misurata e controllata, quando è in genere attuata con entrambe le mani che muovendosi con movimenti
orizzontali sottolineano le sue idee e punti di vista, incontrandosi e toccandosi. Gestualità positiva che si accompagna al sorriso e allo stare davanti al leggio con un discreto equilibrio. Unico momento di gestualità aggressiva con indice puntato per Hillary quando alla domanda sui Cyber Attacks risponde accusando la Russia e minacciando Iran e Cina.

La relazione

Un altro elemento di interesse sta nel modo in cui i contendenti si rivolgevano all’altro. Hillary Clinton si è sempre rivolta a Trump con un familiare “Donald” (più di venti volte), a cominciare dall’iniziale “È bello essere qui con te Donald!”. Ma questo più che un segnale di vicinanza è stato il segnale che gli attacchi sarebbero stati tutti di natura personale, così come poi è stato. Trump dal canto suo si rivolgeva a Hillary con un decisamente più burocratico “Secretary Clinton”, relegandola al ruolo tenuto sotto la prima amministrazione Obama, e con la volontà di attaccare istituzionalmente Hillary, in quanto membro di un governo Democratico. 

Parole che esprimono approcci diversi

Infine, sempre rispetto alla forma, è utile sottolineare l’utilizzo di due parole praticamente opposte dai due candidati. Hillary Clinton ha richiamato l’attenzione alla necessità di seguire i fatti, la concretezza per attaccare le affermazioni errate o esagerate di Trump: fact-checking, il controllo dei fatti. Donald Trump ha invece ripetuto più volte, come ha avuto modo di fare in molti dei suoi discorsi, il verbo believe me, credetemi, fidatevi di me, e non chiedetemi ragioni per le mie affermazioni. Due punti di vista ancora una volta all’opposto, che curiosamente contrastano le dimensioni della comunicazione del corpo viste prime. Clinton emozionale che si rifà alla sua razionalità e alla sua competenza, e Trump che abbandona i toni presidenziali per quelli del trascinatore di un popolo di scontenti.

L’ultima curiosità sulla forma è la scelta di due termini piuttosto desueti: temperamentoper Trump (che ci rinvia agli umori di Galeno) e prosperità per Clinton un sostantivo che non si riscontra più dalla fine del secolo scorso quando il benessere della classe media, diversamente da oggi, era evidente e palpabile.

Doriano Marangon


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